Amore non è se ti “urta la libertà” (“cit.” di Michela Murgia raccontata nell’ Ep. 48 Morgana)

Che ne sappiamo noi dell’amore?

Siamo alquanto fortunati: almeno una volta nella vita ci prende alla sprovvista e ci distrae da tutto il resto.

Siamo così indaffarati a darci un’identità, vestirla e agghindarla che, quando siamo davanti a qualcuno o davanti a uno schermo con qualcuno, ci preoccupiamo di più di cosa stia vedendo in noi che di sentire.

Ma di sentire cosa?

Desiderare di essere piaciuti. Desiderare di essere sfiorati.

Vogliamo compagnia per sognare o semplicemente per scopare.

Siamo così ossessionati dal piacere che concediamo il nostro spazio, talvolta piccolissimo o nullo, a chi ci regala solo l’idea che saremo un po’ più felici.

Siamo terrorizzati dal rimanere soli, e questo è dolce.

Perché ce ne vergogniamo?

Credo che, se cominciassimo ad ammettere che vorremmo la metà della mela per non marcire in modo evidente, ma almeno un po’ più decentemente, sarebbe stupendo.

Pensateci.

Se ammettessimo a noi stessi che non vogliamo stare soli, ci daremmo già la possibilità di passare a un livello di onestà e lealtà con noi stessi che è la forma più autentica di amore.

A quel punto, se cominciamo ad amarci, non potremmo permettere a chi non ci ama di avvicinarsi.

Per fortuna, l’amore vero incanta, e per quanto la mente faccia resistenza tira fuori un po’ di quella purezza che ha ognuno di noi!

L’amore ci rende fragili e i più forti del mondo.

Per me gli amori della mia vita sono stati un viaggio di auto-scoperta.

Nei miei mille quaderni, spesso rileggo di come le relazioni amorose mi abbiano permesso di esplorare diverse parti di me stessa. Questo di me l’ho scoperto leggendo i diari di Anaïs Nin che esplorava l’amore, la sessualità e le sue dinamiche personali con una libertà ai tempi inaudita.

Ricordo il viaggio a Figueres, nella terra natale di Dalí, dove decisi di tatuarmi il cuore anarchico sul polso.

Ricordo che, dopo una lunga riflessione in treno davanti a un paesaggio sfocato dalla velocità, compresi che per me l’amore non doveva essere limitante o costrittivo. Nelle regole condivise di una coppia, e non del singolo, l’amore dovrebbe arricchire la vita di una persona, non incatenarla.

Quante volte ci siamo sentite incatenate da schemi costruiti da noi stesse senza neppure accorgerci che non ci amavamo per nulla, sperando che lui o lei ci amasse di più di quanto noi riuscivamo a fare con noi stesse?

Ma nella maggior parte dei casi, l’attitudine “disperata” di cercare sollievo in un’idea che ci è stata inculcata da bambine risulta un vano tentativo di autostima.

Il sentimento per un compagno o una compagna è spesso la ricerca di un ideale di “ciò che è giusto”, di “ciò che vogliamo mostrare al mondo di noi”, quando, se di amore si tratta, dovrebbe essere solo la massima espressione di noi stessi che prende per mano la possibilità di esistere affianco a quella di un altro essere vivente: la nostra proposizione relativa qualificativa.

Ci scordiamo l’importanza di stringerci, di sentirci, di fare l’amore, presi da una quotidianità metodica e scontata.

Credo che l’espressione sessuale sia una parte essenziale delle relazioni amorose e che dovrebbe essere vissuta pienamente.

Nella nudità, nella condivisione, nell’orgasmo manifestiamo la nostra intimità e gli diamo ancora la possibilità di vivere, di respirare.

L’amore è una condizione complessa e multidimensionale, dice la Nin, che può essere passionale, tormentato, gioioso e talvolta doloroso: una contraddizione di sfumature che caratterizzano le relazioni umane.

Ma se da un lato soffro nel vedere la perdita d’amore per se stessi e di voglia di sessualità nelle relazioni durature, dall’altro sono d’accordo con Michela Murgia:

“In amore vince chi resta”. 

La Murgia vede l’amore come un atto di resistenza contro le avversità e le ingiustizie. Per lei, l’amore può essere un modo per sostenersi a vicenda di fronte alle sfide personali e sociali. Spesso discuteva di come l’amore possa essere una forza di cambiamento. Credeva che l’amore possa sfidare le norme sociali e promuovere l’uguaglianza e la giustizia.

Nel rapporto tra amici, tra familiari di sangue e non, tra amanti, tra coniugi, lo scambio di rispetto, di lealtà e di comunicazione sta alla base di un sentimento puro e incondizionato.

Chi resta non è chi ingoia pietre fino a perdere il respiro, chi non denuncia i maltrattamenti e chi asseconda l’altro annientando se stesso.  

No, questo alimenta un disequilibrio relazionale che va dalla parte opposta all’armonia.

L’amore è un insieme di strumenti accordati che producono una melodia piacevole.

Rock, Jazz, Folk, Reggae, piacevole per chi la condivide.

Quando non lasciamo che il nostro io si esprima, quando chiudiamo il nostro cuore e creiamo aritmia nella sua manifestazione del battito, non sarà facile accordarlo con quello di un altro, né con l’ambiente intorno a noi.

Allora, quando in una relazione stiamo male, quella sinfonia scordata, assordante si propaga nell’ambiente e nascono i problemi con i figli, al lavoro, a scuola, nei contesti che frequentiamo.

Quella sinfonia può cambiare negli anni? Si può accordare?

Certo! E chi resta, chi resta davvero perché ci crede, perché vede il suo nuovo sé stesso, scordato negli anni o nelle situazioni difficili della vita condivisa con l’altro nuovo sé stesso o sé stessa, decide di mettersi pazientemente insieme ad accordare i nuovi strumenti ed imparare ad usarli.

E le rivoluzioni portano cambiamenti talvolta meravigliosi.

L’evoluzione è difficile nel suo cammino, ma profondamente gratificante ai suoi ristori.

Le relazioni affettive vanno oltre le convenzioni tradizionali, che possono lasciarci strumenti musicali antichi e meravigliosi per far vibrare le corde del nostro cuore, ma vanno accordati e resi stabili perché possano entrare all’unisono nella creazione di due musicisti.

Oppure appesi a un muro e guardati di tanto in tanto con profondo rispetto per il tempo che hanno vissuto.

Niente pippe mentali oggi, amiamoci di più!

Nataly Write

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