Il peccato è la più bella delle invenzioni, dice Alda Merini. Il peccato può degenerare o migliorarti, non come il vizio che rimane lì, noioso. Ho sempre pensato al vizio come a qualcosa di ripetitivo, inespressivo, non accrescitivo, neppure creativo, e il manicomio che Alda Merini ricorda nei suoi dialoghi e nelle sue poesie mi richiama la stessa schiavitù, senza lacrime, rassegnata, abbandonata al delirio. Nessuna appartenenza se non quella impotente di acquistare l’oggetto del vizio.
Quella di osservarne la noia della sua ripetizione.
Ma nella noia a volte emergono belle cose, e allora ciò che ho detto non vale più e tutto si converte e il vizio cambia forma, diventa lutto e dal lutto posso scrivere una poesia.
In una trafficata via di Modena, dopo un peccato di gola e uno al profumo di Cabernet, seduta in fondo al Teatro Michelangelo, appoggiavo incurante la schiena sul rosso broccato macchiato di arte. La sensazione era come affondare nel mondo di Alice e diventare piccola per osservare stupita tutto ciò che avrebbe preso spazio al calar delle luci.
Antonio Nobili, lo scrittore dello spettacolo, stava appollaiato sopra la mia testa tra le luci bluastre dell’impianto audio alle mie spalle. Giorgia Trasselli interpretava Alda Merini.
Nello spazio buio tra il silenzio e l’inizio, ho ricordato, rabbrividendo, che sarei dovuta essere lì con lui, con il mio folle amore imperfetto, e la sua presenza era densa e tangibile come un ammasso di melma nera che mi toglieva il respiro. Potevo andare nel panico, ma rimasi in attesa.
Conoscevo la potenza curativa con cui le persone sul palco ti trascinano nella loro vita, e allora perdi un po’ della tua e sei salvo. La donna al mio fianco conosceva il mio dolore e la mia capacità di ripescare la luna dal pozzo e la sua sola presenza mi fece risalire. Lui era lì, se l’avessi accettato mi avrebbe fatto la cortesia di rimanere nel sedile accanto. Il suo spirito era quasi più irritante di lui.
Lo spettacolo iniziava con una telefonata e prendeva via incalzante in un dialogo tra Alda e un giovane ricercatore nel campo della poesia. Giorgia si atteggiava e interpretava un’Alda Merini ironica e commovente, mancavano i suoi occhi spenti ma io li sentivo al mio fianco. Forse è meglio così, l’elettroshock non si può vestire, né interpretare. Può solo assomigliare alla morte, non una morte naturale, ma indotta, improvvisa, schiacciante, come definito in uno dei documentari che la raccontano. La perdita degli affetti, l’interruzione dei rapporti sono morti naturali.
Rifletto. La nostra separazione, la tua presenza eterea coincidono.
Ci sono momenti in cui soffre, in cui la solitudine è necessaria, in cui lei deve stare sola per affrontare il suo dolore. Non so più se parla Giorgia, Alda sul palco o sei tu a sussurrarmi all’orecchio. Scoppio in un pianto convulso che cerco di soffocare, respiro ma il naso si scioglie sulle labbra, continuo a piangere e tu ti aggrovigli a me e la melma ritorna ad afferrarmi la mano, il petto, la bocca risuda. La donna al mio fianco mi prende il braccio e lo accarezza su e giù. Stop.
Il palco era diventato un finestrino di pioggia, un cuore appannato disegnato col dito.
Respiro e tu sei scomparso. L’applauso mi risveglia come il suono dei cimbali durante una meditazione. Lo spettacolo applaudito, il pubblico entusiasta. Ognuno con i suoi tormenti che hanno zampillato per la sala nelle ore precedenti e ora indifferenti e ignari degli altri perdono il sentire per salutare gli attori.
Solo quando Antonio è salito sul palco ho capito che era lui. E ancora mi domando dove sarà nascosta la sensibilità di quell’uomo imponente. Ognuno di noi ha i suoi profondi segreti che il teatro risuscita e se può a volte cura. Ognuno di noi ha i suoi peccati che, se messi in scena, a volte prendono una forma più morbida e versatile. Di sicuro il teatro è un bel vizio: che mi anneghi o mi sobbalzi di risa, è sempre una gran bella cura. L’anima persa che mi è venuta a trovare lo sa e, come per dispetto, cerca un posto accanto al mio incurante di comprarsi un biglietto.
La cura del peccato
“La malinconia era vomito che trasaliva
senza darmi la soddisfazione di montare,
al contempo erano le lacrime a bagnarmi
le labbra mescolate a sordi lamenti.
Di abito bianco vestita in un cerimoniale di folli
stavano le emozioni rilegate.
Il cuore scoppiava e la violenta eccitazione
del peccato chiedeva il tuo amore.”
Nataly Write 22.02.25