“Sono andata a vedere “Che razza di Otello?” di Lia Celi.
Nessuno in quella sala sapeva perché fossi lì, tanto meno Lia, Marina Massironi e la bravissima musicista Monica Micheli.
Era una sfida con me stessa, una terapia d’urto per evitare che la paura prendesse il sopravvento nella mia vita.

“Che ironia: il mio lavoro fornisce una marea di strumenti alle persone per stare meglio, mentre con me stessa sono un disastro!”

Sono partita da casa smarrita e impaurita.
Durante i 30 metri che separavano il luogo sicuro dal teatro, la mia mente danzava tra le peggiori fantasie.
Ruminavo, come avrebbe detto Susan Nolen-Hoeksema; mi intrappolavo in un circolo vizioso di pensieri che non avrebbero condotto a nulla.
Avevo scelto il primo spettacolo disponibile con un posto libero, che, accidenti, non era esterno. Senza via d’uscita.
Avevo deciso che l’ansia paralizzante che caratterizzava quelle settimane della mia vita necessitava di una terapia d’urto.
Avevo scelto il teatro.
Avevo scelto di andarci da sola, in un luogo vicino.
Uno da cui sarei potuta scappare facilmente.
Non avrei immaginato che la sorte mi avrebbe fatto scegliere lo spettacolo giusto.
Nel giro di qualche anno, la mia vita era cambiata radicalmente: sposata, separata, in un paese piccolo dove i cambi di scena spaventano.

Dove una ragazza un po’ radical chic e “presa in giro dalla sorte”, come Desdemona, continuava a sognare fino a perdere il respiro.

Lo spettacolo di Lia Celi si è rivelato una cura.
Tra i sedili, stretta tra due sconosciuti, mi sentivo come in un aereo poco prima del decollo!
Il soffitto dava respiro, ma la sensazione di fragilità prendeva il sopravvento: sembravano trascorrere interminabili quei 10 minuti di attesa.
Vagavo tra i luoghi bui e misteriosi dei miei pensieri.
Il mio sguardo saltellava tra la scritta “Toilette” e le uscite aperte: fluttuazioni che mi estraniavano dalla sensazione di claustrofobia.
Scenari in cui lentamente si insinuò il suono dell’arpa, che divenne la colonna sonora.
Le parole di Marina si fecero sempre più forti e le voci lasciarono spazio alla voce.
Le onde impetuose delle mie emozioni si tramutarono in lacrime, nella sensibilità della comprensione di un passato che ha segnato la cultura violenta di oggi.
Un Verdi raccontato a braccetto con eventi storici, che descrivono un’Italia che si evolve nelle proprie convinzioni di razza e di disuguaglianza, senza mai realmente cambiare.
Le onde dolci che dal cuore giungevano alla riva esplodevano in risate per la bravura di Marina, che sa rendere leggeri temi profondi e ha saputo sussurrare all’orecchio del pubblico: “Da che parte stai?”
La calma del calore dei suoni, dell’umanità delle parole.

Ho scelto lo spettacolo di Lia Celi, senza saperlo, per allentare la tensione del mio cambiamento. Ha riportato un’opera di Shakespeare, rievocata da Verdi, toccando tematiche attuali e scuotendo lo spettatore con messaggi chiari, in chiave ironica e toccante.

Sono uscita dalla sala consapevole che quel cuscino non mi avrebbe soffocata.
Sono arrivata a casa, ho cercato la tragedia nella libreria, ho cancellato il titolo e ho annotato “La sfigata” di William Shakespeare.
In fondo, c’è un po’ di Desdemona dentro ognuna di noi.
Mettiamoci in discussione e poi condividiamo il rischio di apparire strane!

Grazie all’autrice e alla Performance di Marina e Monica.

Nataly Write

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