“Mostrasi diversi è un po’ come ammettere di essere folli!”
Il legame tra sofferenza e creatività emerge quando ci esprimiamo e non siamo compresi, quando scegliamo di andare controcorrente e veniamo giudicati.
La vita di ogni “diverso” è stata una lotta, un’accettazione o una rassegnazione, un tormento, eppure proprio quella diversità mette in luce e produce capolavori.
La normalità collettiva è la vita vera?
Oppure chi vive davvero ci spaventa perché ciò implica euforia, sofferenza ed emancipazione?
Claudio Morici utilizza la metafora della “malattia dell’ostrica” nel suo spettacolo teatrale per riflettere sul valore della creatività, della diversità e sulla complessità della condizione umana.
L’idea è che, proprio come un’ostrica produce una perla in risposta a un’irritazione o una malattia, anche gli artisti spesso creano opere straordinarie a partire dalle loro esperienze di dolore e disagio. Morici esplora le vite tormentate di grandi scrittori e artisti, evidenziando come molti di loro abbiano vissuto esistenze difficili, segnate da traumi, malattie mentali e isolamento sociale.
Nonostante queste difficoltà, o forse proprio a causa di esse, hanno prodotto opere che hanno avuto un impatto duraturo sulla cultura e sulla società.
Lo spettacolo mette in luce come la genialità e la sofferenza siano spesso intrecciate, e come la bellezza delle opere d’arte possa nascondere le difficoltà personali degli artisti che le hanno create.
Questo mi ha fatto pensare a come ancora oggi chi è diverso e mette in discussione i comportamenti morali della comunità venga guardato con sospetto.
La maggior parte degli artisti che studiamo ha espresso sè stesso attraverso opere che hanno cambiato la storia e il nostro modo di pensare, eppure la loro vita è spesso stata un susseguirsi di tragedie. Arrivare a comprendere che esprimere sè stessi è una questione collettiva, è una responsabilità sociale che sgomita oltre la folla del controllo, è difficile in un mondo come il nostro.
Lo è sempre stato.
I letterati di successo che oggi studiamo per comprendere la storia, i poeti, ma anche gli scienziati, durante il corso della loro vita, per la maggior parte, erano considerati folli, diversi.
Donne che parlavano e che, per farle rimanere in silenzio, venivano rinchiuse, ricevevano elettroshock e torture medievali.
Donne che, per invidia di mariti meno talentuosi, furono ridotte a una vita tremenda come Sylvia Plath, che lottava con la salute mentale, tra depressione e tentati suicidi.
Oscurata per questo dalla vita pubblica e considerata pazza a causa dei pregiudizi dell’epoca.
Sylvia tradita, aggredita, picchiata, abusata e minacciata di morte per colpa dell’“amore malato” per il marito Ted Hughes, celebre poeta inglese.
A incidere negativamente da un punto di vista emotivo, poi, è stata anche l’infedeltà del marito, che durante il loro matrimonio ha iniziato una relazione con l’amica di lei Assia Wevill, rimasta poi incinta. Chi non sarebbe entrato in depressione?
Chi non avrebbe avuto bisogno di un supporto psichiatrico?
Chi non sarebbe stato giudicato folle?
Eppure solo dopo la sua morte si apre uno spiraglio per una nuova interpretazione e solo dopo la sua morte la sua opera viene riscoperta e diviene degna e riconosciuta: Sylvia soffriva, forse non era pazza.
O forse lo era diventata a causa dell’inferno in cui le era toccato sopravvivere.
Ci lascia comunque un bagaglio poetico in cui i sentimenti di una vita reale traboccano tra le righe. Tante donne, ma anche uomini, hanno vissuto nel silenzio e nell’accettazione perché forse credevano a chi li reputava scomodi.
Ci sono artisti invece che ce lo hanno raccontato!
Alda Merini, per esempio, ha esordito giovanissima, a soli 15 anni, sotto la guida di Giacinto Spagnoletti, scopritore del talento artistico della ragazza.
Nel 1947 viene internata per la prima volta in una clinica, reduce dall’incontro con “le prime ombre della sua mente”.
Da quel momento in avanti, la vita di Alda Merini è caratterizzata dal ricovero in varie case di cura, da periodi di desolata solitudine e silenzi inenarrabili.
Nonostante le difficoltà psichiche, Alda Merini è riuscita a lasciarci in eredità una vastissima produzione, fra versi, opere in prosa e aforismi, carica di profondità ed emozione, espresse in modo assolutamente distintivo e personale. Le poesie di Alda Merini e i suoi aforismi sono diventati parte integrante della nostra cultura e del nostro immaginario collettivo proprio grazie alla forza evocativa di cui i versi di questa splendida autrice sono intrisi.
Anche Salvador Dalí, se ci pensate, era considerato un eccentrico stravagante, talvolta giudicato pazzo per il comportamento bizzarro e provocatorio : “ L’unica differenza tra me e un pazzo è che io non sono pazzo “ diceva.
Surrealista che viveva oltre le regole morali, con amanti e vita mondana.
Eppure era riconosciuto come un grande artiste mentre era in vita!
Sarà che era un uomo, sarà che in quegli anni esplodeva un sentimento di curiosità per l’inconscio e l’irrazionale. Il Surrealismo incoraggiava l’espressione libera e non convenzionale e questo ambiente favoriva l’accettazione del comportamento teatrale di Dalì.
Insomma, se l’è cavata.
Ma uomini come Van Gogh, invece, durante la loro vita, non furono riconosciuti come grandi artisti, ma piuttosto come una persone eccentriche e spesso considerate folli. Vincent visse con problemi di salute mentale per gran parte della loro vita, trascorrendo lunghi periodi in ospedali psichiatrici.
Malgrado le difficoltà personali e le sfide finanziarie, Van Gogh continuò a produrre opere d’arte straordinarie, ma nonostante la sua straordinaria produzione artistica, vendette solo pochi quadri e visse in condizioni di estrema povertà. Van Gogh partecipò a poche mostre e ricevette scarsa attenzione da parte della critica e del pubblico. Solo negli ultimi due anni della sua vita, iniziò a ottenere un po’ di riconoscimento tra gli artisti d’avanguardia e le sue opere furono esposte in alcune mostre a Parigi e Bruxelles.
Tuttavia, questo riconoscimento fu limitato e non sufficiente a migliorare significativamente la sua situazione. Van Gogh è considerato uno dei più grandi pittori di tutti i tempi, ma durante la sua vita fu principalmente visto come un uomo tormentato e incompreso.
Altri sono stati amati e hanno avuto sostegno dai famigliari ma nonostante questo il senso di inadeguatezza prese il sopravvento.
Donne eccelse come Virginia Woolf, amate ma che si sentivano diverse: un peso nel loro disagio psicologico.
“Non posso più combattere” scrive nella sua lettera all’amato marito.
Nel suo caso, le moderne tecniche diagnostiche hanno condotto a una presunta diagnosi di disturbo bipolare con eventi psicotici (le voci che affollavano la mente di Virginia le rendevano impossibile la lettura, la scrittura e, in generale, la concentrazione).
Virginia Woolf si è suicidata perché non vedeva altra scelta, perché voleva liberare se stessa e il suo amato marito dal fardello che lei stessa rappresentava.
Molti si sono suicidati/e come ci racconta anche Claudio Morici nel suo spettacolo.
Riflettendo, in effetti, non è difficile da pensare come conclusione: incatenate/i da aspettative altrui da un immagine distorta di chi erano davvero dipinta per loro, guardando la giustizia sciogliersi e l’idea collettiva sormontare l’impegno che questi uomini e donne mettevano semplicemente nell’essere vivi. Non è difficile, nella solitudine stravagante di un artista, pensante, contemplare l’addio al mondo terreno!
Che cosa avrebbe dovuto trattenerle/i?
La speranza forse?
L’illusione di farcela contro tutti?
Impegnarsi ad essere capiti vivendo nella derisione o nella frustrazione?
No, non per tutti è stato così, ma per molti. Per la maggior parte.
L’ho sentita questa sensazione, nel vento, vagamente.
Paragonabile a una storia sussurrata all’orecchio da una nonna che ti emoziona.
Decidere di non difendersi per proteggere le fragilità di un uomo o di un altro essere vivente e lasciare che il pubblico ti pensi orribile.
Oggi mi domando: “Come potevo pensare che, senza difendermi, qualcuno si sarebbe preso la briga di sollevare qualche dubbio? Come posso essere stata così ingenua da pensare che per “buona condotta” un giorno sarei stata scagionata?”
E così ho imparato sulla mia pelle che le donne rivoluzionarie che ammiro parlavano!
Urlavano!
Gli artisti con cui mi perdo e i letterati che stimo avevano sofferto per essere sé stessi. Diversi.
Il diverso spaventa!
È sempre stato così!
Ma forse oggi, in un mondo dove siamo ancora più soli, ma più connessi, si può arrivare a più persone. A persone strane, diverse, che fanno scelte immorali o che semplicemente decidono di non proteggersi a discapito di chi amano o di chi è fragile.
Forse oggi anche il gruppo sociale, purché si attenga alle norme tradizionali che regolano la comunità, può essere ispirato grazie all’accesso alle informazioni.
Il diverso è un bene comune che, in grande o in piccolo, ha sempre rivoluzionato il sistema e il mondo.
Dopo svariate esperienze lavorative e amichevoli con persone che nel collettivo appaiono brusche o violente, ho scoperto l’affascinante realtà delle maschere di difesa personale.
Ne ho uno scantinato pieno!
Ho conosciuto persone dolci e accondiscendenti con il fuoco dentro e malati psichiatrici perfettamente normali, solo a disagio con un mondo che reputano limitato.
Ho capito che le mie maschere potevano rimanere in cantina, ma non dovevo buttarle.
Se sei diverso, per non morire devi sopravvivere e per vivere devi divertirti!
O respirare raccontando le pippe mentali di una donna…