Quante volte ti sei trovato a riflettere di aver sprecato settimane a rimuginare e a prepararti discorsi allo specchio, con la migliore performance espressiva di sempre, per la tensione di quel primo appuntamento?
Oppure, hai mai fatto grandi monologhi in macchina, interpretando te stesso e il tuo capo, per poi essere beccato a parlare da solo al semaforo? Incrociando lo sguardo della macchina accanto, magari hai sorriso a denti stretti o, al contrario, hai fatto un’espressione del tipo: “Cosa vuole? Sto parlando con mio figlio,” indicando un sedile vuoto ma potenzialmente riempito da un nanerottolo invisibile.
In fondo, siamo tutti un po’ attori quando proiettiamo scene future da affrontare nella vita!
In fondo, facciamo tutti tanto rumore per nulla quando si tratta di relazioni sociali e ancor più di sentimenti.
Siamo attori anche quando non ce ne accorgiamo!
Recitiamo tutti i giorni, mutando modi, abiti, vocabolario, date le circostanze.
C’è chi si trasforma a buon fine come “Don Pedro” che finge di corteggiare Ero al posto di Claudio; chi più ingannevole e manipolatore come Borraccio; o chi è impacciato e divertite come Benedetto, vestito in abito rosso, che inciampa sul disprezzo di Beatrice mentre sviluppa improvvisi sentimenti per lei.
La commedia shakespeariana di domenica al Teatro Ariosto di Reggio Emilia è stata un’esplosione di risate e anche qualche lacrimuccia.
Una bella commedia con tanti personaggi entusiasmanti.
“Tanto rumore per nulla” è una commedia dai temi attuali, come ricorre in Shakespeare, autore della fine del 500, che torna più contemporaneo che mai nelle dinamiche di vita quotidiana che oggi si ripetono in ogni piccola famiglia, comunità, paese e città.
Il tema dell’amore che assaggia la tradizione e il rifiuto di essa: l’amore che cambia la visione delle cose, modifica le sensazioni e lo sguardo sulla propria vita futura.
Il tema della ricerca di un futuro costante può farci perdere le dinamiche del presente, che a volte illudono e ingannano.
Mentre ci perdiamo in ciò che stiamo vivendo, progettiamo un futuro che non accadrà oppure accadrà comunque, nonostante tutto il nostro rumore in testa!
Mi sono divertita e ho apprezzato molto lo spettacolo.
Mi sono immedesimata nei personaggi cogliendo tante piccole sfumature che, attraverso l’ironia, hanno toccato temi profondi come la differenza tra uomini e donne nella società.
Le tradizioni continuano a insinuano nelle scelte personali, confondendoci su ciò che desideriamo veramente per noi stessi e su ciò che facciamo per conformarci a un pensiero comune.
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Osservare interpretazioni di ruoli in una dinamica quotidiana come nella commedia in questione ci permette di sentire ed elaborare punti di vista differenti e scorgere strade alternative dai nostri schemi di comportamento; è ciò su cui si basano gli studi della teatro terapia di Jacob Levy Moreno o Jerzy Grotowski che si focalizzava sul punto creativo piu che l’obiettivo finale.
Per non parlare di Jodorowsky che sviluppa un approccio terapeutico chiamato Psicomagia dove combina elementi di teatr , psicologia e rituali simbolici.
Andare a teatro è un po’ come guardarsi dal di fuori sul palco della vita; nascono spunti di crescita personale interessanti.
Mai dire mai ci insegnano due bravissimi attori, Lodo Guenzi e Sara Putignano!
Anche chi ha il cuore chiuso a Riccio può essere sorpreso dall’amore, che lo schiude fino a scoprire il proprio lato morbido, un po’ come quando mordi un Lindor.
Ormai si sa: i nostri traumi infantili, mescolati alle esperienze relazionali e alle tradizioni, ai dogmi familiari, e ai consigli amorevoli o ingannevoli di chi ci conosce, creano la ricetta perfetta per farci diventare dei bersagli più o meno facili per Cupido.
Ogni tanto, un po’ di lieto fine non guasta. Oggi, se una cosa non finisce in tragedia, non ci entusiasma più. Ma forse è meglio concedersi tanti monologhi davanti a uno specchio, in macchina, e diventare un po’ attori, per poi comprendere che era più semplice: come dice Frida Kahlo, chi ci ama resta, chi non ci ama va.
Dovremmo imparare a vivere più leggeri e meno “controllati,” diventando dei “buffi innamorati” o “scorbutiche indomate,” esprimendo quello che siamo!
Perché, forse, il miglior attore è colui che ha un grado di empatia tale con se stesso da non recitare una parte finta, ma da tirar fuori quella parte che esiste già un po’ dentro di lui e di lei.
Questa volta ero sedata esterna e ho respirato.
Ma forse è stato merito delle risate.
Perché si sa, quando le labbra salgono a mezzaluna verso il naso, i pesi dalle spalle rotolano giù!
Nataly Write