DISSONANZA COGNITIVA : Quante volte ti comporti all’opposto di ciò che pensi?

Ero seduta in un locale.

Era estate, e potevamo stare a gambe nude sotto la gonna. Sentivo la frescura che, di tanto in tanto, il vento portava, rendendo la mia pelle un campo di spine. Rabbrividivo a ogni folata di frasi che, empaticamente, percepivo come false e ridicole, ma, a mia volta, continuavo a sorridere e annuire.

Avevo 30 anni, e quasi ci erano riusciti a rendermi sterile.

Riuscivo ancora a mantenere parti di me intatte, ma ero vestita da quella che, qualche anno dopo, avrei scoperto chiamarsi: Dissonanza Cognitiva. Quando un essere umano assume un atteggiamento contraddittorio rispetto a ciò che dice o pensa intimamente. Quando, per sentirci parte di un gruppo o di un sistema di condivisione con chi ammiriamo, ci dimentichiamo dei nostri valori e creiamo un susseguirsi di comportamenti che, come veli trasparenti, uno sull’altro, finiscono per impedirci di vedere la realtà.

Ne rimanevo consapevole. Ogni volta che entravo sotto le coperte, tornavo a cercare il mio pensiero per non perderlo, ma ogni giorno si faceva più forte la voglia di appartenenza e più lontani quei valori da ripescare.Credo di ricordare vagamente gli episodi che allentarono quella voglia di assomigliare e rafforzarono quella voglia di essere.

Non c’è colpa, care lettrici, nel volersi sentire accolte. Leggete queste righe con la consapevolezza che vogliono essere dolci e inclusive. Vorrei dare un senso di accoglienza e sorellanza a chi vuole uscire dalla convinzione di essere sbagliata, perché spesso ci sono solo troppi veli, uno sopra l’altro, davanti ai nostri occhi.

Ma vi dico una cosa: il tessuto non sono pietre. Come pagine di un libro, possiamo sfogliarne una dopo l’altra e ricominciare a vedere chi siamo e, di conseguenza, chi ci assomiglia. Ci saranno pagine da rileggere tante volte, difficili, incomprensibili. A volte, fino a che non ci decideremo a chiedere aiuto a qualcuno o al dizionario, rimarremo bloccate lì. Ma altre pagine scorreranno come un romanzo.

Questo percorso l’ho fatto da sola e avrei amato qualcuno che mi accompagnasse e mi spiegasse che ogni passaggio difficile fa parte della guarigione. Che mi raccontasse che, in cima alla montagna, il panorama è chiaro e le voci di chi, a terra, ti tirava ancora più giù, lì, in alto, diventeranno impercettibili.

Quando abbiamo la benda a mille strati e giochiamo a mosca cieca, non tardiamo ad accorgerci che di un gioco non si tratta per niente. Quando cominciamo a perdere la percezione chiara di chi c’è vicino a supportarci, amico o approfittatore, allora cominciamo ad avere paura di non avere più un appoggio. Ogni persona presente ci sembrerà la miglior occasione per farci guidare. Ma, di solito, quando facciamo una scelta, chi ci rispetta e ci vuole bene non ci intralcia, non si mette nel mezzo. Ci dà un consiglio, ma non ci porta dove vogliamo noi. Uno dei due finisce per arrabbiarsi: tu, perché credi in ciò che non vedi, e la persona che ti ama, perché si sente tradita.

Rimarranno quelli a cui fa comodo portarti. Che ti lasceranno inciampare per poi dirti che sono vicino a te. Tu ci crederai perché non puoi fare nient’altro! Il pensiero di rimanere sola, non vedente, in mezzo a un mondo di umani è molto peggio di adattarsi, lasciando i tuoi valori, il tuo coraggio e i tuoi obiettivi. Per supportare questa concatenazione di casini, tenderai ad autogiustificarti per non distruggere la teoria che hai di te stessa, creando così un insieme di convinzioni che distorcono la realtà, ma che definiscono quell’identità di cui vogliamo fare parte: un gruppo o élite, tendenzialmente con un atteggiamento superiore agli altri, che denigra chi tende al cambiamento.

La guerra è ingiusta e orribile, sempre. Eppure, sono proprio i “colpi di stato” e le rivoluzioni che ci spingono a lottare e che tirano fuori la verità degli esseri umani. Tirano fuori il meglio, ma soprattutto il peggio. La paura ci rende folli e opportunisti oppure lucidi e altruisti.

In quelle caratteristiche che emergono, decisi di aiutare me stessa e, appena trovai la forza di rialzarmi, tutti quelli che vicino a me sono caduti, fino all’ultimo, a costo di morirci in quella battaglia.

Quando ammettiamo a noi stessi che le parti peggiori esistono anche dentro di noi e impariamo ad accettarlo, facciamo il primo passo reale verso una crescita personale. Quando riconosciamo di avere parti che, sugli altri, ci fanno schifo, allora ci vengono donati due strumenti:

1. La chiarezza di cosa vogliamo e non vogliamo essere, cosa vogliamo o non vogliamo coltivare. Questo già implica riconoscere i propri valori autentici che le esperienze hanno formato, ma anche distorto.

2. La forza di fare il primo passo lontano dalle persone che apparivano rivoluzionarie, forti, emancipate e che, nella lotta, si dimostrano selettive, autoritarie, razziste di genere, personalità, carattere, ma soprattutto di scelte.

Dovremmo praticare l’onestà con noi stessi, a costo di dover sopportare e superare lo stravolgimento della nostra identità! La pace torna, ve lo assicuro. E’ un luogo dove ti ritrovi con persone nuove, vecchie, talvolta nemiche un tempo, e insieme ti rimetti in sesto. In quel momento, dove si cerca il nutrimento comune, la medicina per tutti, dove ogni ferita dell’altro è motivo di vincita e sconfitta per tutti. Lì, in un bosco che sembra surreale, incantato, la memoria sembra si perda e non ricordi più perché era così importante appartenere invece di essere.

A quel tavolo, mi avevano parlato di pace e umanità, di tanto in tanto giudicando un passante e sminuendo le scelte altrui. Non dissi niente. Sono colpevole. Se avessi avuto 3 anni, mi avrebbero confusa. Ne avevo 30 e mi sono fatta confondere.

Gonne che parlavano di principi di uguaglianza le vidi correre sgomitando per sedere sulla mia vecchia poltrona, vicino a quegli stessi uomini che mi avevano fatta sentire utile, inutile, sessualmente bellissima, mentalmente… meglio zitta! Quelle gambe, a 3 anni, mi avrebbero convertita. A 30 mi hanno convinto di chi non volevo essere!

Dopo la rivoluzione, la risurrezione e la stabilità emotiva ci sarà una cosa che puoi fare:

Fatti la ceretta (non perché tu non possa mostrarti pelosa, ma perché le cicatrici si devono vedere), metti la crema idratante (perché luccichino al sole), metti la gonna e non vergognarti di nessuna di quelle imperfezioni. Mostra alle persone che pensano di non farcela che un futuro c’è per tutti.

Crederci e non lasciare che queste rimangano…Pippe mentali di una donna!

“Per essere se stessi occorre accogliere a braccia aperte la propria ombra.

Che è ciò che rifiutiamo di noi.

Quella parte oscura che, quando qualcuno la sfiora, ci fa sentire “punti nel vivo”.

Perché l’ombra è viva e vuole essere accolta.

Anche un quadro senza ombre non ci concede le sue figure.

Accolta, l’ombra cede la sua forza.

Cessa la guerra tra noi e noi stessi e perciò siamo in grado di dire:

“Ebbene sì, sono anche questo”

Umberto Galimberti

Nataly Write

 

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