L’autostima è una questione di allenamento!

I miei abiti non definivano più la mia bassa autostima; al contrario, mi sentivo in un videogioco, perfettamente a mio agio. Ero diventata come la mia definizione di poesia: la bellezza di scegliere accuratamente i miei abiti per apparire nuda.

Senza maschere, corazze, involucro di cellophane che non ti fa respirare e che pensi possa proteggerti dall’occhio giudice: il virus del mondo. Che poi, quel giudice è interno e lo scopriamo sempre troppo tardi.

Sul treno per Milano tenevo le ginocchia serrate, mimando la compostezza finta di una donna dall’animo in movimento, che si lasciava contenere da un gioco di apparenze. La gonna larga, in realtà, non lasciava intravedere quel gesto, che rimaneva perciò un gioco personale. Pareva un lampadario, con pieghe ampie e morbide che confinavano i disegni in stile pop art: visi, macchie di colore, sagome di animali e scritte accennate su una tela grigia dai bordi blu. Non amavo vestire di blu, ma quella gonna mi piaceva. Era il risultato di studio e l’oggetto che mi aveva permesso di ottenere la lode nell’esame di storia dell’arte.

Avevo imparato che nella vita non basta studiare la lezione, ma che lo sviluppo cognitivo migliora quando la lezione è studiata nel contesto. Mi spiego: nei giorni precedenti all’esame di Storia dell’Arte osservavo la mia professoressa atteggiarsi, e nasceva il dubbio che la mia prestazione non sarebbe stata valutata solo in base alle competenze teoriche acquisite durante quei mesi di lezioni. “La Franca” avrebbe potuto mirare al suo obiettivo con qualsiasi metodo o domanda di attualità, psicologia controversa, attitudine personale riferita in modo sottile al mondo dell’arte, ma che apparentemente non c’entravano nulla con le opere classiche e moderne.

Quel pensiero mi fece rovistare tra le mie qualità in modo annoiato e quasi inconsapevole. Cominciai a osservare il suo modo di comunicare. Parlava di Warhol come fosse un suo amico di bevute, passava da Tiziano a Tintoretto sfoggiando il rosso a tema negli abiti e nella sua passione per quel mondo. Pareva sicura, come se ci raccontasse di essere l’insegnante migliore e più “figa” che ci potesse capitare. La sua materia era la più importante di tutte, e lo dimostrava ponendosi lei stessa come un’opera d’arte.

Quella donna mi spinse a fare il primo passo, e forse come ogni primo passo, il più importante, verso la mia autostima. Solo il giorno prima dell’esame realizzai che il volume di studio era talmente ampio e variegato che sarebbe bastato un argomento scomodo per bocciarmi. Sfogliai gli artisti minori e decisi di studiarne solo un quadro per ciascuno. Era un rischio, ma avevo deciso che sarebbe stata una delle mie strategie. Dopo un paio d’ore la testa fumava come una teiera in ebollizione. Chiusi il libro e, come un’illuminazione improvvisa su un palco di teatro buio, mi nacque la voglia e la spinta di creare il mio show per il giorno dopo, come quella donna ci aveva mostrato per tutto il primo semestre.

Cercavo nell’armadio, alternando la chiusura e l’apertura delle palpebre a intervalli di un paio di minuti. Una danza tra le immagini di me forte e sicura, che arrivava sfilando nell’aula d’esame, e cercavo tra i panni quelli che più assomigliavano a quella proiezione mentale. Scelsi la gonna a lampadario grigia con i disegni colorati e il bordino blu. Abbinai una maglia aderente di cotone rosso, un po’ Tintoretto, un po’ Tiziano, che riprendeva delle rose nella stoffa della gonna. Anche i miei capelli erano di quel colore, e il giorno dopo li pettinai con le mani ai lati, che scivolavano verso l’alto, in una cresta punk. Contrastavo con un trucco naturale, dolce, quasi accennato. Le calze lunghe si vedevano appena all’altezza di metà polpaccio, nere, come lo scarponcino e la borsa a tracolla.

Prima di uscire rimasi a osservarmi nello specchio, in attesa di essere sabotata dai soliti pensieri ridondanti:

“Chi credi di essere?”

“Sembrerò ridicola! Perché non ho studiato di più invece di perdere tempo?”

“Apparirò troppo egocentrica e mi giudicheranno antipatica.”

E mentre il dialogo interiore tra la me con la bassa autostima e la me che aveva voglia di sfidare la professoressa continuava, feci un respiro profondo e pensai: “Basta, sono insopportabile! Chissene frega di come andrà e di cosa penseranno, ho perso tutto il pomeriggio per prepararmi, quindi tanto vale la pena tentare!”

Uscita dalla porta mi sentii stranamente eccitata, libera e divertita. Una sensazione che conoscevo già, ma che spariva sempre facilmente tra gli stereotipi di come e chi dovevo essere. Attesi nel corridoio del secondo piano. Guardavo la lista scendere e, più i nomi scorrevano, più mi maledivo di non aver ripassato. Avevo ormai il cuore in gola, che galleggiava nella nausea, quando si aprì la porta beige con la targhetta: “Franca De Carli_Storia dell’Arte.”

“Rossi?” : lesse sul taccuino l’assistente. Una ragazza mora con i capelli a caschetto fino alle spalle, gli occhiali spessi e rettangolari che le coprivano il viso minuto. Entrai ingoiando il cuore e rimandandolo nello stomaco, così quasi soffocai. Sfoderai il mio migliore “Buongiorno”. La Franca era già sulle punte ad applaudire velocemente e in modo nevrotico:

“Ma che meraviglia, sei uguale alla mia miglior amica Giorgia!”

Non ricordo di cosa parlammo; sembravamo a un caffè in piazza San Marco, con il commissario a disagio tra due donne esuberanti, già conscio che l’unico suo momento di spicco sarebbe stato pagare il conto. Mi chiese un quadro di un artista minore che rappresentava il grosso culo di un cavallo. E proprio per scaramanzia era uno di quelli sfogliati la sera prima.

Avevo avuto il coraggio di rischiare, di trovare qualità alternative che giudicavo nonostante facessero parte di me, figlia di un mondo che ci vuole standarizzati e automi.

Rischiare, buttarsi sotto una cascata gelida per conoscerne semplicemente la sensazione è l’unico modo per scoprire le nostre capacità, trovare le nostre strategie e farci riconoscere che abbiamo del potenziale, di qualsiasi cosa si tratta.

Non avere autostima ci rende aggressivi o peggio ancora trasparenti.

Un mondo di persone con una buona autostima sarebbe fatto di tante conversazioni stimolanti e divertenti come quella con “La Franca” al mio esame di storia dell’Arte.

Se l’avessi giudicata invece di osservarla non avrei di certo imparato la lezione.

Nella vita ci vuole versatilità, autostima e tanto sano culo!

…Non le solite pippe mentali di noi donne!

Nataly Write

 

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